Barbarian

L'esordio di Zach Cregger avrebbe potuto essere uno dei migliori horror dell'anno se non avesse rovinato le ottime premesse di un prima parte praticamente perfetta.

di EMILIANO BAGLIO 05/11/2022 ARTE E SPETTACOLO
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Barbarian, film di esordio di Zach Cregger (disponibile su Disney Plus), potrebbe essere ribattezzato la fiera delle occasioni sprecate, in parte anche a causa del fatto che, come vedremo, si tratta praticamente di quattro film in uno, ognuno molto diverso dall’altro.

Tutto inizia quando Tess (Georgina Campbell) in una notte rigorosamente buia e tempestosa arriva nel fatiscente quartiere di Brightmoor, periferia degradata di Detroit, nella casa prenotata online.

Qui scopre che lo stesso appartamento è già occupato da Keith (Bill Skarsgård) che lo ha prenotato su di un’altra piattaforma.

Non trovando altra sistemazione Tess accetta la proposta di Keith di condividere per la notte l’appartamento.

I primi quaranta minuti di Barbarian sono anche la parte migliore dell’intero film.

Cregger gioca con lo spettatore come il gatto con il topo sfruttando anche i luoghi comuni del genere horror e mostrando grande maestria registica.

Il risultato è un piccolo gioiello di tensione gestita magistralmente alla perfezione.

Ovviamente, data la situazione, lo spettatore è naturalmente portato a credere che Keith nasconda qualcosa di losco e che sia lui il “mostro” del film.

Da parte sua il regista fa di tutto per rafforzare questa nostra convinzione soprattutto attraverso un uso intelligentissimo della macchina da presa.

In Barbarian c’è un’identificazione totale tra telecamera ed occhio del regista, il punto di vista scelto è sempre quello di una sorta di entità esterna onnisciente che già sa come andranno le cose.

Da un lato Cregger costruisce una serie di inquadrature che danno vita ai pensieri di Tess; il caso più esemplare è la scena in cui, in piena notte, indecisa sul farsi, la donna guarda il quartiere; mentre la macchina da presa ci mostra lo squallore e la desolazione del luogo senza però ricorrere alla soggettiva.

Ritroveremo questo uso sapiente delle riprese in quello che, per comodità, chiameremo il flashback e che corrisponde alla terza parte del film, un breve frammento girato interamente con telecamera a mano ed obbiettivi deformanti che segue la giornata tipo di Frank (Richard Brake).

Si tratta anche in questo caso di una sequenza apparentemente girata in soggettiva se non fosse che l’occhio della telecamera non corrisponde a nessuno sguardo se non a quello appunto esterno ed onnisciente del regista.

D’altronde che il punto di vista sia appunto quello di un demiurgo esterno che manovra spettatori e protagonisti della vicenda a suo piacimento lo confermano le riprese in cui Cregger ci mostra i due attori e contemporaneamente particolari della casa che loro non possono vedere aumentando così la tensione come se improvvisamente quelle inquadrature dovessero svelarci chissà che.

Il senso di disagio è aumentato poi da una serie di piccole cose, porte che si aprono all’improvviso in piena notte, gli incubi di Keith che si lamenta durante il sonno e così via.

Soprattutto sono i temi messi in campo a far sì che tutti i nostri sospetti pendano verso il protagonista maschile.

Keith infatti è sostanzialmente un viscido che di fatto ci prova con Tess e la mette continuamente a disagio.

Barbarian è anche un saggio sulla mascolinità tossica e sui comportamenti che la generano, analizzata attraverso tre diverse figure maschili.

In realtà di carne al fuoco ce n’è tanta, perché Cregger al tempo stesso mette sul piatto, attraverso il flashback, una critica all’epoca reaganiana e più in generale alla politica repubblicana attraverso i sobborghi degradati di Denver città industriale per eccellenza.

Purtroppo la tensione abilmente costruita nella prima parte si sfalda completamente con il resto del film.

La seconda parte si apre con AJ Gilbride (Justin Long) che interpreta un attore che poi si scoprirà essere il proprietario dell’appartamento affittato da Tess e Keith e che è stato appena accusato di stupro da parte della partner del suo ultimo film.

Apparentemente Cregger qui sembrerebbe avanzare una critica nei confronti degli eccessi del #metoo se non fosse che, con il passare del tempo, Gilbride si scoprirà essere uno stronzo stupratore preoccupato solo di sé stesso.

Quello che però non funziona è il tono di questa seconda parte, improvvisamente dal thriller horror dei primi quaranta minuti ci ritroviamo dentro una pellicola quasi demenziale con un personaggio che è un perfetto idiota e con un film che azzera qualsiasi tensione.

Ci si riprende un po’ con quello che abbiamo chiamato il flashback e con l’ennesimo personaggio maschile totalmente negativo per poi crollare definitivamente con l’ultima parte.

La quarta parte di Barbarian cambia nuovamente tono e diventa uno slasher con tanto di “mostro” invincibile che non muore nemmeno quando viene messo sotto da un’automobile e che se ne va in giro sfondando muri e strappando a forza le braccia delle vittime.

Un ennesimo cambio di tono assolutamente incomprensibile e forse persino più fastidioso della seconda parte demenziale che rovina definitivamente quanto costruito nei primi straordinari quaranta minuti.

A nulla vale nemmeno l’estremo tentativo di metterci una toppa con un finale quasi struggente, dall’alta valenza simboliche che colpisce dal punto di vista emotivo.

Un vero peccato perché il talento e le premesse c’erano e Barbarian poteva tranquillamente essere uno dei migliori titoli horror di quest’anno.

EMILIANO BAGLIO


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